19.4.06

"25 kb di coccodrillo, grazie". "Sono 27, che faccio, lascio?"

“Scrivete quello che vi pare, ma non scrivete ipocrisie con giri di parole ed eufemismi. Non c’è bisogno che scriviate di me per compiacermi, tanto sono morto. Per una volta avete l’occasione di chiamare le cose con il loro nome senza rischiare querele perché tanto sono morto, stecchito.
In effetti, avrei preferito sopravvivervi, ma se le cose sono andate così, ora non ha più importanza quello che preferivo o quello che non preferivo”.

Alle volte provo a immaginare quali parole userebbero in redazione per scrivere di una mia eventuale prematura dipartita. Quanto spazio darebbero alla notizia dipende dalla mia fine. Se inaspettata e tragica - a meno di colpi di stato o elezioni - riuscirebbe a strappare anche un richiamo in prima pagina. Se annunciata - come quando giunge dopo una lunga malattia - rischierebbe invece di avere solo un paio di colonne di centro pagina nelle quali, in modo senza dubbio manierato, verrebbe fatta una selezione casuale degli eventi che hanno caratterizzato la mia esistenza e nei quali probabilmente non mi riconoscerei. Se poi mettessero anche una testina troverei quasi offensiva la cosa. Che tristezza la testina, piuttosto preferirei mi ignorassero.

Scriversi il “coccodrillo” non è facile. Ha un che di presuntuoso, ma senza dubbio sarebbe la soluzione ideale.
Voi da dove partireste per scrivere il vostro?
L’ideale sarebbe partire dalla fine, dall’evento che ci ha strappati al calore dei nostri cari, ma per ovvie ragioni non è possibile lasciarne uno del genere se non con gli spazi “da completare”.
Come si può scrivere il proprio coccodrillo ascoltando un pezzo così vivo come “Don’t let me be misunderstood” dei Santa Esmeralda a tutto volume?
Ecco, …ecco l’ispirazione.

“Evitiamo incomprensioni, Stebi è morto. È un fatto. E come lui stesso avrebbe detto con un filo d’ironia, gli dispiace. Lui però era fatto così, era incapace di rimanere a lungo in uno stesso posto. Poteva farlo, certo, ma soffriva. Magari tornava, ma di tanto in tanto sentiva il bisogno di andarsene e ora, dopo (…) anni, se n’è andato in modo definitivo.
Anche se presumeva che con la morte tutto sarebbe terminato, da agnostico qual era non c’avrebbe nesso la mano sul fuoco e si era quindi preparato per un eventuale viaggio nell’aldilà. Comunque sia andata a finire, è certo che in questa sua nuova ipotetica avventura, non sarà un turista qualsiasi. Come sempre ha fatto - per quanto possibile - cercherà di capire il contesto in cui si trova e magari di imparare qualche rudimento della ‘lingua’ usata dagli ‘indigeni’. Avrà con sé anche l’attrezzatura subacquea, nel caso ci fosse il mare o magari solo una pozza d’acqua in cui potersi tuffare e rilassare guardando salire – o scendere - le bolle.
Era uno spirito inquieto e anche se all’esterno poteva sembrare inattivo, come un vulcano ribolliva dentro.
Nessuno ha conosciuto lo stesso Stebi, perché come un camaleonte, il suo modo di essere e di sentire cambiava e si adattava alle situazioni. Come uno specchio rifletteva la personalità di chi aveva di fronte. Se vi è apparso interessante, voi eravate interessanti, se al contrario vi è apparso noioso significa che la noia vi accompagnava. Quando l’avete trovato simpatico, il merito è stato invece della vostra simpatia. Non s’imponeva; se non strettamente necessario.
Stebi è stato questo e tanto altro. Ognuno avrà un ricordo diverso di lui, quindi è inutile ripercorrerne la storia, perché non sarebbe mai abbastanza corretta. Tanto per evitare incomprensioni, Stebi è morto, che vi piaccia o no è così”.

Bah, non mi convince tanto. Più che un coccodrillo, qua e là, sembrano tanto le parole che potrebbe usare il prete nel corso del funerale. Faccio come il salumiere, ormai che è sulla bilanca, “Lascio”. Se non lo useranno al giornale, magari lo useranno davvero in chiesa. Un ricordo dell’estinto come questo, sono sicuro che farebbe anche meno danni di quelli che un prete preso all’ultimo momento potrebbe fare. Si, si, lascio.