29.10.05

Immagini



L'immagine è importante. Aggiungo la prima foto. A differenza di quanto uno potrebbe pensare, non ho fatto una gran ricerca per scegliere cosa publicare. Mi sono lasciato guidare dall'istinto senza troppe elucubrazioni.

Quando l'ho vista nella cartella immagini, mi sono subito detto: QUESTA!

Si riferisce alla tappa Slovena del campionato del mondo di tuffi da grande altezza. A Kanal ci sono andato senza fotografo, ma con una macchina digitale compatta e, anche se era già successo in altre occasioni, per la prima volta, oltre a firmare il testo, qualcuno mi ha accreditato anche la paternità delle imagini.
Tra gli scatti di quel giorno, questa foto, oltre a piacermi, credo esprima bene la tensione di chi si butta da oltre 20 metri di altezza. Ci vuole concentrazione. Non si può sbagliare, e non perchè si perderebbe una gara, piuttosto perchè l'impatto con l'acqua sarebbe tremendo.

Ho scrittto anche troppo. Qui bastava la foto!!!

sui morti

Il capo mi spedisce a una tavola rotonda organizzata da una delle mille “inutili” associazioni della zona. Il tema è il ricordo della figura di un personaggio a 30 anni dalla sua prematura scomparsa. Nella sua breve vita (50 anni), tra le altre cose, è stato responsabile della nostra redazione. Non se ne può parlare male. Va beh…
Ascolto le parole di chi si trova al tavolo e, mentre prendo i miei appunti, mi viene voglia di vomitare. Con tutto il rispetto per questa persona, mi chiedo se sia mai possibile che i morti siano tutti delle figure speciali. Tutti bravi, impegnati, mai una macchia nella loro vita. Quello che mi colpisce dei discorsi sui morti è che alla fine, quando crepiamo, tutti ci assomigliamo. Almeno, a giudicare dalle parole di chi ci ricorda in situazioni ufficiali. La banalità di chi parla, poi si riflette in maniera inevitabile negli articoli. Piatti. Una palla per tutti. Per chi parla, per chi ascolta, per chi scrive e, non ultimo, per chi legge. Ma chi le legge ste cose?

Piccole conseguenze di un piccolo reportage

Il reportage sul servizio degli autobus urbani mi mette parzialmente in crisi. A … non ne prendevo da anni. Gli orari sono scomodissimi, oltre tutto, anche se la frequenza fosse migliore, spesso devo spostarmi in macchina per servizio e la soluzione diventa impraticabile.
La linea che ferma sotto la redazione, dopo un giro allucinante passa anche davanti casa. Scelgo di usarla per andare a pranzo. Mi ritrovo su un autobus pieno di studenti. Mi colpiscono due cose. La prima è che da quando lo prendevo per tornare dal liceo - per quanto se ne dica - i ragazzi non sono cambiati: si comportano esattamente come mi comportavo io, forse meglio. La seconda - che lo voglia o no - è che non sono più tanto giovane come m’illudo d’essere. Loro hanno gli zaini, mentre io ho un’agenda e il giornale. Sono passato dall’altra parte, è innegabile. Il cronista è nudo di fronte ai fatti e a questo punto è stato spogliato anche delle sue illusioni.
Siamo schiacciati come sardine, ma per fortuna, anche se qua e là qualcuno mi urta, nessuno mi chiede scusa. Per fortuna perché, di certo, se lo avessero fatto avrebbero usato il LEI e non il TU. Un ulteriore schiaffo alla mia autostima.

28.10.05

note book e macchina da scrivere

A volte mi capita di dividere uno stanzino col Milio, un omino minuto che mantiene le relazioni con le pompe funebri e con le parrocchie della città. Milio è un ex impiegato di banca, nella sua precedente vita quando c'era qualce festa o c'erano altri avvenimenti all'interno della sua azienda mandava i comunicati. Era una sorta di addetto stampa ante litteram e quando è andato in pensione è arrivato in redazione a fare il lavoro sporco che a nessuno interessa.
Ogni volta che qualcuno della banca muore, il Milio ne canta le gesta e lo fa battendo sui tasti della sua macchina da scrivere con quella sua aria grigia. Credo che sia la persona più a datta per questo genere di argomenti. Generalmente mite, qualche volta, come le famose Formiche di Gino&Michele, anche lui s'incazza. Vederlo bestemmiare parole velenose è quasi un divertimento per il semplice fatto che da lui non ci si aspetterebbe mai un comportamento del genere.
Quando divido il bugigattolo con lui, ci troviamo gomito a gomito io con il portatile e lui con la sua macchina da scrivere. Due generazioni a confronto.
Quando un giorno un mio amico è passato dalla redazione ha sentito battere quei tasti su cui l'omino batteva con forza. Con il corpo Milio copriva la fonte del suono, non vedendo la macchina il mio amico ha pensato che tenevamo quel rumore così vintage in sottofondo.
Amico Che bisogno c'è di tenere il rumore della macchina da scrivere? Non vi rincoglionisce?
Stebi Non è finto. è tutto vero.
Non voleva credermi

27.10.05

attacca come se fosse un sms

(qualche gorno fa)
Capo L'attacco di un pezzo deve essere come un sms. Deve fare capire subito e in poche parole quello di cui stai parlando.
Stebi Giusto, sono d'accordo.
Capo Bene.
...
...
(qualche giorno dopo: oggi)
Il capo arriva con un foglio A4 in mano. Rifammi questo attacco così e cosà...
Prendo il foglio, leggo le prime quattro righe. Con due verbi all'infinito e un congiuntivo il pezzo risponde alla domanda What? (Che cosa?).
Non ho tempo né voglia di discutere e rifaccio l'attacco così e colà con le parole che ha usato lui. Ormai ho imparato. Quando si arriva a una certa ora della giornata l'unico modo per sopravvivere è non chiedere niente e sforzarsi il meno possibile. Se uso le sue parole la questione è risolta. Anche se l'attacco non è come un sms.

la comunicazione

La comunicazione è malata. Non è una scoperta mia, purtroppo. Solo che, forse, come tutti quelli che ne fanno parte e la vedono da dentro, ci sto più male e mi incazzo di più di chi la subisce soltanto. Il motivo è semplice. Abbiamo le mani legate. Cambiare è impossibile. Scrivere mi piace e per farlo spesso devo scendere a compromessi. È per questo preciso motivo che preferisco non occuparmi dei massimi sistemi, di politica, di cose “serie”, ma mi limito alla redazione di quei pezzi secondari che quasi mai aprono la pagina della cronaca. Nella maggior parte dei casi, quando scrivo cerco di essere coerente con me stesso, di manipolare meno possibile la realtà, ma il giorno dopo quando controllo sul giornale cosa ho scritto e che errori ho fatto (o mi hanno fatto fare) mi accorgo che ad essere stato manipolato sono io. È la realtà stessa la manipolatrice: porta a scrivere quello che la gente vuole sentire. Poco importa se poi a incazzarsi è quella stessa gente. È un corto circuito. È per questo che da qui voglio provare (non so se ci riuscirò) a raccontare il back stage della “cronaca”, di quello che succede in una piccola redazione di provincia.
A spaventarmi è solo la mia incostanza.
Vedremo.

ABC o le 5W

Stamattina ripensavo al blog e mi chiedevo cosa avrei dovuto pubblicare su queste pagine? Beh, il fatto che si chiami piccole cronache già dovrebbe aiutarmi a capire perché ho registrato questo spazio. Però mi sono detto: passi la giornata a riportare notizie, ne hai voglia anche quando non te lo chiede nessuno?
Credo di si, perchè questo spazio è mio e non devo necessariamente rispondere alla regole base del giornalismo: quella delle 5W (Who?, Where?, Why?, When?, What?). Crto, alle volte nn la rispetto nemmeno sul gionale, ma di solito lo faccio. Sul blog sono allo stesso tempo il direttore responsabile e l'ultimo dei collaboratori. Questo mi permette di dare le notizie come mi pare e sugli argomenti che mi pare. Magari anche in modo sgrammaticato. Qualche volta ne ho bisogno.
Al lavoro, dunque.

intro

Credo che come in ogni cosa sia necessaria un'introduzione. Mi sembra banale ma è dovuta. Se sono qui a scrivere è grazie a - o per colpa di - Sergio che piano piano mi ha condotto su questo terreno. Non sono sicuro che riuscirò a coltivare questo orticello, ma ci proverò. Promesso.
Devo dire che sono un po' spaventato. Le potenzialità di questo mezzo sono infinite e anche se tutti giorni scrivo qualcosa sul giornale e quel qualcosa viene letto da qualcuno, la differenza è che gli articoli pubblicati, in parte, non mi riguardano. Mi riguardano limitatamente alla forma e alla selezione di cosa è rilevante raccontare e cosa non lo è, qui invece tutto mi riguarda. Non posso fare il furbo. Non ci sono virgolette per atribuire i miei pensieri ad altri. Qui non ho scuse. A parlare sono io, sono le mie dita che battono sui tasti del portatile. Certo, potrò virgolettare, riportare frasi e pensieri di altri, ma quel virgolettato che metterò qui è qualcosa che condivido.
...
...
Anche se non ci sono mai stato, ho la sensazione che sarà come andare dallo psicanalista...
fuori uno!